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venerdì 26 luglio 2013

Jay-Z e Samsung, il vero business della musica è regalarla!


Jay-Z e Samsung, il vero business della musica è regalarla

Il rapper americano da oggi regala un milione di copie del suo nuovo disco Magna Carta tramite una app esclusiva. Mentre in USA tecnologia e musica sono in un rapporto simbiotico intanto in Italia…

Oggi 4 luglio 2013 il mercato della musica forse cambia definitivamente. Un proclama che abbiamo sentito diverse volte, a differenza di altre però a questo giro scendono in campo i pesi massimi. Con 72 ore d’anticipo sul resto del mondo oggi i possessori di Samsung Galaxy S III, Galaxy S4 and Galaxy Note II potranno scaricare gratuitamente attraverso l’omonima applicazione Google Play il nuovo album del rapper americano Jay Z: Magna Carta Holy Grail. Se in Italia molti lo conoscono più come compagno della popstar Beyoncé in verità stiamo parlando del rapper più famoso del mondo, qualcuno lo ha definito il “Frank Sinatra di colore”, un musicista che ha venduto nella sua carriera più di 50 milioni di dischi in tutto il mondo.
Basta entrare nel sito ufficiale del nuovo album per accorgersi che qualcosa è cambiato: il nome di Jay Z in alto compare fianco a fianco a quello del brand tecnologico Samsung, sponsor unico e ultrapresente di questa nuova iniziativa musicale, quasi si trattasse di un vero e proprio featuring tra artisti alla pari. Il perché è presto detto: Samsung regalerà 1 milione di copie digitali del disco ai suoi utenti, regolarmente già acquistate dall’azienda tecnologia per 5 dollari l’una per una spesa totale di 5 milioni di dollari.
L’operazione è così importante da aver portato l’industria discografica americana a cambiare le regole con cui vengono conteggiati i download digitali, in un post di ieri la RIAA ha annunciato che da oggi per l’assegnazione dei dischi d’oro e di platino verranno presi in esame i dati dal giorno stesso della pubblicazione del disco invece che dopo i soliti 30 giorni come accade con i dischi su supporto fisico, venduti e distribuiti con un ritmo completamente diverso. “Pensiamo che sia tempo per la RIAA di allineare la certificazione della vendita di canzoni e album digitali” si legge nel comunicato ufficiale che continua: “Ecco perché oggi aggiorniamo ufficialmente le nostre regole in fatto di assegnazione di dischi d’oro e di platino”.
La provocazione l’aveva lanciata lo stesso Jay Z dal suo account Twitter, lamentandosi di non poter annunciare sin da subito il traguardo di Platino del nuovo album, e l’industria americana ha prontamente risposto a dimostrare che un certo stato di cose non è ormai più sopportabile, anche da chi ha resistito al cambiamento oltre ogni tempo massimo. “Non ci sono regole, tutti se ne stanno accorgendo” ha dichiarato Jay Z alla stampa “Ecco perché Internet è il selvaggio west. Dobbiamo scrivere regole nuove”. Non a caso uno degli hashtag che accompagna il lancio del disco è proprio#newrules.
In verità nessun disco è stato realmente venduto e si tratta per ora solo di un’enorme campagna marketing, una delle più grandi della storia della musica digitale: oltre i 5 milioni di dollari iniziali Ben Weiner CEO dell’agenzia di marketing WDCW stima che Samsung abbia speso altri 15 milioni per tutti gli altri aspetti dell’operazione, compresa la realizzazione di un video che da giorni sta rimbalzando in Rete.
Perché questo enorme investimento per un’operazione che non vede un ritorno immediato? Perché un marchio multimilionario in ascesa come Samsung decide di finanziare un artista, per quanto popolare, in un momento in cui la musica esce faticosamente da un decennio di profonda crisi di vendita? Esattamente per comprare ciò che ancora la tecnologia non è stata capace di ricreare e di cui ha bisogno:  semplicemente per il disperato desiderio di essere fichi, e esserlo più degli altri.
In primis più dei tipi di Apple che da anni si solo legati a doppio filo alla musica ma i cui utenti oggi dovranno aspettare 2 giorni in più rispetto alla concorrenza per ascoltare il nuovo disco di Jay Z. Samsung lancia modelli sempre più popolari dei propri dispositivi e guadagna quote di mercato, ciò che manca ancora è lo stabilirsi come marchio di riferimento “cool” cosa che l’iPhone ha fatto sin da subito, con i suoi spot colorati lanciati coinvolgendo altre superstar mondiali (al tempo ben più popolari) come gli U2.
Questo di Jay z e Samsung non è un caso isolato ma la punta di un Iceberg in costante avvicinamento. Se da una parte si discute dell’importanza economica dei modelli di business in base streaming da Spotify alle nuove piattaforme che frettolosamente tutti gli altri player stanno sviluppando come Microsoft tramite Xbox dall’altra appare sempre più chiaro che l’unica regola è quella di non averne nessuna. La strategia è quindi quella di lasciare la musica correre libera per alimentare come solo essa sa fare (con il suo appeal, velocità di diffusione e carisma) altri mercati invece più profittevoli.
Solo qualche mese fa il magazine americano Buzzfeed spiegava con successo come il nuovo disco di Justin Timberlake The 20/20 Experience così come la musica in essa contenuta e il progetto comunicativo che lo accompagnava fossero soprattutto un sofisticato specchio per le allodole permarketizzare l’artista in settori in grado di produrre guadagno cosa che ormai la vendita di dischi non è più in grado di garantirne. Ecco allora arrivare contratti con importanti marchi a cui fare da testimonial, ruoli da protagonista nel cinema grazie ad una rinnovata visibilità mondiale e tour dal vivo che sono il vero ritorno economico della musica di oggi. Così è accaduto anche per Alicia Keys creative direcotr di Balckberry e Lady Gaga prima di lei con Polaroid.
Lo sanno anche gli artisti più ricercati e underground che da tempo offrono online la propria musica in streaming gratuito per lanciare il contenuto di un disco appena messo regolarmente in vendita. Lo hanno fatto i Daft Punk e lo stesso Timberlake scegliendo l’ambiente di iTunes, lo fanno molti altri tutte le settimane in uno spazio come Pitchfork Advance che associa il prodotto di un musicista a quello della rivista musicale più letta e influente del mondo, raggiungendo così una moltitudine di possibili fan che non avrebbero comunque fatto fatica a scaricare illegalmente l’album. Al tempo stesso producono preziose pagine viste per l’editoria digitale e visibilità per artisti che hanno guadagni quasi esclusivamente da operazioni collaterali e concerti dal vivo.
Lo sa Intel che da anni finanzia con decine di milioni di dollari The Creators Project, una sorta di casa di produzione e fucina creativa in cui sponsorizza e lavora assieme ai migliori artisti internazionali realizzando per loro nuovi video ufficiali, imprese multimediali di ogni genere, assicurandosi dunque l’unica cosa che l’industria multimilionaria dell’informatica ancora non può dire di avere ottenuto in pieno: un’immagine vincenteLo ammette con candore Deborah Conrad, responsabile marketing Inter, al New Yorker: “Vogliamo che si parli di Intel su riviste come Rolling Stone o Vanity Fair”, pubblicazioni che altrimenti troverebbero scarsamente interessante un’azienda che principalmente produce processori.
E in Italia? Tutto ciò è ovviamente ancora fantascienza, oltre la timida ma tutto sommato funzionale esperienza crowfunding di Musicraiser il resto della nostra industria discografica è ferma al secolo scorso e il caso della stagione è ancora una volta un vincitore di un talent show come il giovaneMoreno capace di sdoganare un genere come il rap, già popolarissimo tra i ragazzi, anche ad un pubblico televisivo, vero centro nevralgico di qualunque strategia di marketing e commerciale nazionale. Così più che al selvaggio west digitale americano l’Italia somiglia piuttosto ad un’onesta casa nella prateria catodica. Colpa di una discografia retrograda? Di sponsor occupati ad orchestrare strategia globali dove un paese in recessione come il nostro non hanno nazionalità? Certo è che lo smottamento culturale e generazionale è destinato a passare da una sponda all’altra dell’Oceano più velocemente che in passato e che nuove opportunità di guadagno rischiano di andare perdute se non ci faremo trovare pronti.

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